INTRODUZIONE
Lo studio di un’area-campione individuata nella regione storica del Gerrei, nella Sardegna sud-orientale, ha messo in luce un ricco sistema insediativo dalla preistoria fino all’età medievale (Forci 2008; Cicilloni e Forci 2012; Fig. 1).
La zona-campione, ubicata nella provincia di Cagliari, comprende un’area di circa 90 Km2 caratterizzata da un’orografia accidentata e complessa, comprendente l’intero territorio comunale di Silius e porzioni più o meno ampie dei limitrofi territori di San Basilio, Siurgus Donigala, Goni, Ballao e S. Nicolò Gerrei. Più precisamente i limiti geografici sono dati dal nuraghe di Goni a N, dal corso del Flumendosa ad E, dal Monte Moratto di S. Nicolò Gerrei a S, dal paese di S. Basilio e dal bacino del Rio Bau Orroli di Siurgus Donigala a W/NW. L’area risulta compresa pressoché interamente nell’antica curatorìa medievale del Gerrei, nota nelle fonti medievali anche con il nome di Galilla e il cui popolo, i Galillensi, è attestato nella celebre Tavola di Esterzili del 69 d.C. (Mastino 1993).
Fig. 1 – L’area oggetto di studio (elab. M. Cabras).
In questo contributo si presentano i risultati di una serie di ricognizioni territoriali, effettuate dal 1994 al 2000 e in seguito dal 2010 al 2015, che hanno restituito un gran numero di dati inediti su numerosi siti (monumenti, aree di dispersione di materiali archeologici, insediamenti pluristratificati), dalla Preistoria al Medioevo. Le nuove acquisizioni sono state georeferenziate, documentate e schedate. Le informazioni ubicative relative ai siti individuati sono state poi raffrontate, per ogni epoca, con i vari tipi geomorfologici e le fasce altimetriche presenti nell’area di studio.
Tutte queste informazioni sono state poi analizzate al fine di valutare se particolari tendenze insediative potessero indicare scelte ubicative proprie dei diversi periodi, collegate con le differenti caratteristiche sociali, economiche e religiose delle popolazioni che frequentarono la zona nel passato. Con strumenti GIS, mediante la creazione di un Cost Surface Model, basato esclusivamente sulle forme del terreno e sulle pendenze dei rilievi, sono state individuate alcune aree 'sensibili', identificabili come aree di transito e di contatto tra differenti aree geografiche.
Il presente lavoro fornisce un quadro più completo dei siti archeologici di quest’area della Sardegna sud-orientale particolarmente ricca di testimonianze della frequentazione umana nel corso dei millenni, sfortunatamente ancora poco conosciute e studiate. Difatti, la regione è rimasta per anni ai margini della ricerca scientifica, con la sola segnalazione sporadica di pochissimi siti in alcuni contributi (cfr. ad esempio Taramelli 1919, Costa 1984, Manunza 2008) o in monografie di appassionati a carattere locale (ad esempio Orrù 1955). Solo una serie di studi recenti, che ha però riguardato esclusivamente gli insediamenti preistorici e soprattutto protostorici, ha fornito un chiaro quadro dei siti pertinenti a tali fasi (con la precisa georeferenziazione degli stessi) e ha cercato di studiare il paesaggio delle età del Bronzo e del Ferro tramite l’ausilio di tecniche di analisi territoriale e di strumenti GIS (Forci 2008, Forci e Cicilloni 2012; Cicilloni et al. 2015a).
Un lavoro del 1994 ha focalizzato l’attenzione sul cambiamento dei modelli insediativi e del land-use dall’età preistorica sino all’età moderna nelle regioni del Sinis e del Gerrei (Lazrus 1994). Purtroppo l’Autrice propone solo uno studio di carattere generale, in cui vengono proposti modelli e considerazioni (ad esempio, per il periodo preistorico, un utilizzo per attività regolare ma discontinua delle zone montane contro un forte incremento di insediamenti nell’età del Bronzo, con pochi cambiamenti nel settlement pattern durante l’epoca punica e romana), senza però esplicitare i dati su cui fonda la propria analisi (peraltro pubblicati nella sua Dissertazione di Dottorato), per cui non si è neppure certi che siano stati presi in considerazione i siti e i monumenti dell’area oggetto di indagine. Mancava ancora, quindi, per la zona in esame, una accurata analisi, in chiave diacronica, degli antichi insediamenti in rapporto con le varie forme del paesaggio, basata su dati certi e sicure geolocalizzazioni.
CARATTERISTICHE GEOGRAFICO-AMBIENTALI DELL’AREA-CAMPIONE
La regione, a forte vocazione agropastorale, vissuta nell’isolamento sino alla costruzione della moderna rete di comunicazione viaria, realizzata a partire dagli anni ’50 del secolo scorso (Casu 1998), si caratterizza per il netto prevalere delle aree montane su quelle vallive limitate alla fertile conca fluviale di Ballao, formatasi a seguito delle esondazioni del Flumendosa. Nel resto del bacino idrografico il fiume ed i suoi affluenti maggiori e minori, come Rio Annallai, scorrono invece con percorso rapido e tortuoso in anguste gole incassate e selvagge. Il territorio oggetto di analisi può definirsi un vasto e movimentato altopiano (altitudine media circa 650 m. s.l.m.) che dalla vallata del Flumendosa, su cui si affaccia a strapiombo, si eleva progressivamente in direzione SW sino agli 838 m. del Monte Ixi.
Nel complesso, piccoli altopiani e allineamenti montuosi si alternano a profondi canaloni, in un paesaggio aspro e accidentato dal quale emergono coste rocciose, ben riflesse nei diffusi bruncus della toponomastica. Dalle cime di Cuccuru Domu S’Orcu e Genna Tres Montis o dall’ampia terrazza naturale di Nais (Fig. 2), lo sguardo può raggiungere a N i Monti del Gennargentu, mentre a NE, in un continuo susseguirsi di colli, l’orizzonte si perde in direzione del Salto di Quirra; si distinguono nitidamente il Monte S. Vittoria di Esterzili, la Punta Corongiu di Ierzu, il Monte Cardiga di Villaputzu, e, nelle giornate limpide, perfino il torrione della Perda Liana di Gairo. Più all’interno, le alture di Bruncu Su Carraxiu, Bruncu ‘e Mesu e Bruncu Pauli si affacciano sugli espandimenti basaltici del Sarcidano meridionale, con l’altopiano di Pran’e Muru in splendida evidenza. Dal versante siliese di Monte Ixi si apprezza in particolare ad E l’altopiano di Villasalto, culminante nel Monte Genis (979 m. s.l.m.), mentre a W, ad una quota visibilmente inferiore, si apre la conca della Trexenta cui fanno da scenario gli inconfondibili profili della Giara di Gesturi e del Monte Arci di Oristano.
La zona oggetto di esame risulta conservata, dal punto di vista geomorfologico, nei suoi tratti essenziali. I processi di trasformazione del territorio, infatti, sono legati essenzialmente all’erosione dei suoli superficiali dovuta ad agenti atmosferici, ad incendi ed a sovrapascolamento, che però non hanno alterato in profondità il paesaggio (Forci Al. 2003). L’unica eccezione riguarda l’attività mineraria, sviluppatasi dagli anni ’50 del secolo scorso in poi, che, seppur ben riconoscibile, ha interessato però un areale piuttosto limitato nella zona sud-occidentale del territorio.
Fig. 2 – Veduta degli altopiani paleozoici dalla 'Torre-capanna' di Nais (foto A. Forci).
Le trasformazioni hanno probabilmente riguardato, invece, l’aspetto paleobotanico, anche se nella zona mancano del tutto analisi archeobotaniche e archeozoologiche, necessarie per ricostruire gli aspetti paleoambientali e paleoeconomici dell’area durante le varie epoche. Per analogia, però, possiamo avere indicazioni in tal senso, almeno per quanto riguarda la fase dell’età del Bronzo, dalle indagini effettuate nel vicino altopiano di Pranu ‘e Muru ad Orroli, distante appena 16 Km verso Nord. Qui, infatti, sono stati effettuati alcuni saggi di scavo in vari siti dell’età del Bronzo, con la realizzazione di una serie di analisi polliniche (Lopez et al. 2005). Si è visto come, in tale area, il paesaggio si sia trasformato a partire dal Bronzo Medio, periodo in cui si registra l’inizio di una intensa frequentazione antropica, sino al Bronzo Finale. Durante il Bronzo Medio, infatti, la percentuale di polline arboreo/arbustivo è di circa l’80% del totale dello spettro pollinico, indice di un ambiente fortemente forestato, con la presenza della quercia come specie arborea preponderante.
La analisi mostrano inoltre come, durante tutto il periodo, vi sia un susseguirsi di incendi e di deforestazioni di origine antropica, con una riduzione delle specie arboree in concomitanza ad un incremento delle pratiche agricole (coltivazione dei cereali ed allevamento di bestiame). Le superfici boschive si ridurranno progressivamente dall’80% al 20% durante il Bronzo Finale (Leonelli 2008). Per quanto riguarda gli aspetti paleofaunistici, i reperti osteologici rinvenuti nel nuraghe Arrubiu di Orroli parlano di genti dedite soprattutto alla pastorizia, con l’allevamento di bovini, ovicaprini e suini, consumati in proporzioni diverse durante le varie fasi dell’età del Bronzo (Fonzo 2008).
Presumibilmente, quindi, anche il territorio Silius potrebbe essere stato ricoperto da estesi boschi di cui oggi si rinvengono solo sparute testimonianze, come i lembi di foresta che sopravvivono ancora nei canaloni più inaccessibili (es. Rio Padenti). Le numerose sorgenti perenni disseminate nel territorio, tre delle quali alimentano due fonti e un pozzo sacro di età nuragica, dovevano fornire ingenti quantità d’acqua anche nei mesi estivi: vi erano le condizioni quindi perché la zona venisse abitata da piccole comunità dedite soprattutto alla caccia e all’allevamento del bestiame, previo disboscamento attraverso gli incendi, similmente a quanto avveniva a Pran’e Muru (Leonelli 2008).
Da notare che la presenza di antiche aree boscose, riferentesi però a momenti passati non precisabili, sembra testimoniata dalla toponomastica: ad esempio, i toponimi 'Padenti Scurosu' (bosco oscuro), 'Padenti Nieddu' (bosco nero), 'Pranu Ilixi' (piano del leccio) sono relativi a località in cui la vegetazione boschiva è fortemente depauperata o del tutto assente.
Tenuto in debita considerazione il vorticoso degrado dell’epoca moderna, gli studi pedologici evidenziano limitazioni molto forti nell’uso dei suoli, per via della generale scarsa profondità e della rocciosità e pietrosità elevate, fattori che limitano il loro uso a pascolo, prato-pascolo e bosco, o a colture che richiedano corta stagione di sviluppo (Aru et al. 1990, 1991, unità cartografiche 2-4).
Il territorio è caratterizzato dagli affioramenti del basamento paleozoico, rappresentato da rocce di varia natura: vulcanica (Porfiroidi Auct.), silicoclastica e calcarea (Barca e Argiolas 1985). Su queste rocce, che risultano variamente ripiegate e metamorfosate in seguito ad antichi eventi orogenetici (Carmignani et al. 1992), giacciono in discordanza, dislocati a varie quote, lembi di arenarie e conglomerati geologicamente molto più recenti, testimoni della trasgressione marina dell’Eocene inferiore sul penepiano post-ercinico (es. Monte lxi, 838 m. s.l.m. e Nais, 646 m. s.l.m.) (Barca e Di Gregorio 1999: 330; Carmignani et al. 1992: 111, fig. 3.20).
Le forme del rilievo riflettono la natura geologica del substrato: dove infatti affiorano i banchi di arenarie e conglomerati terziari che conservano l’originaria giacitura orizzontale, si hanno superfici grosso modo tabulari (es. Monte lxi, Muscadroxiu, Bruncu Omos, Pranu Ilixi, Pranu Covinu, Pranu Mutteddu di Goni); dove invece sono presenti le varie litologie paleozoiche, l’erosione differenziale prodotta dagli agenti modellatori ha dato origine a forme molto più diversificate caratterizzate da superfici a debole pendenza là dove affiorano le rocce più compatte e tenaci (porfiroidi a NW di Silius, sino ai territori di Siurgus Donigala e S. Basilio), profondamente incise dai corsi d’acqua che hanno creato spettacolari strapiombi, come ad esempio lungo il corso del Rio Padenti o del Rio Annallai (Fig. 3). Nell’area ad E/NE e ad W di Silius, sino a S. Basilio, dove sono presenti le rocce metamorfiche da protoliti sedimentari (metarenarie, argilloscisti e metacalcari), il reticolo idrografico si fa più fitto e prevale una morfologia collinare contraddistinta sia da profili dolci (es. Arrularis) che da spuntoni rocciosi (es. Bruncu Pei Cani), a seconda della natura e dall’assetto geologico del rilievo.
Questi antichi apparati vulcanici e fondali marini sono attraversati da importanti filoni mineralizzati che hanno dato luogo a cospicui giacimenti di fluorite, barite e galena. L’attività mineraria, di cui si ha notizia dalla seconda metà dell’800 (Sella 1871), si è sviluppata soprattutto dopo il 1950 nelle due miniere di Muscadroxiu e Genna Tres Montis, oggi in via di dismissione, che hanno inciso profondamente sul paesaggio circostante (Natale 1969). Le caratteristiche giacimentologiche della galena di queste miniere sembrano escludere la possibilità di attività estrattive in epoca protostorica e punico-romana: difatti si trattava di un filone di poco conto in affioramento, perciò forse di scarso interesse per le popolazioni antiche, mentre solo in profondità, e solo a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, è divenuto uno dei principali produttori europei di fluorite e galena (Valera, Valera e Rivoldini 2011: 86).
Fig. 3 – Il cromlech preistorico di Piscina Caboni/S’Incorradroxiu - Silius; sullo sfondo il nuraghe Padenti Scurosu (foto R. Cicilloni).
METODOLOGIA
Per posizione geografica e morfologia non adatto a soddisfare le esigenze di grandi e prosperi centri abitati, questo territorio ha assunto sin dal più remoto passato un ruolo strategico nel controllo delle vie di collegamento che dalla valle del Flumendosa risalgono verso la Trexenta e il Campidano.
Dal punto di vista metodologico, le ricerche sono state portate avanti tramite field survey. Considerata la situazione geografica del territorio, piuttosto impervio e con maggioranza di zone non sottoposte a coltivazioni, si è ritenuto più produttiva una ricognizione asistematica, con il controllo selettivo di specifiche aree e siti già localizzati tramite fonti bibliografiche e segnalazioni orali e con l’esplorazione delle zone che apparivano più promettenti per l’insediamento umano, quali le sommità collinari, i crinali, le zone d’altipiano, le valli e le vallecole, con una campionatura arbitraria ma tendente a ricoprire l’intero territorio in esame (Cambi 2011: 175-176).
Le ricognizioni si sono susseguite, spesso nelle stesse aree, nei vari periodi dell’anno. Le fonti che sono servite di base alla ricerca sono state, oltre che le poche segnalazioni bibliografiche e le scarse indicazioni cartografiche su base IGMI e CTR (Carte Tecniche Regionali), le informazioni orali da parte degli abitanti della zona. Su tali siti sono state effettuate varie analisi, di tipo statistico e con l’ausilio del GIS (Geographic Information System) e di un DTM, Modello Digitale del Terreno.
Mentre per le fasi preistoriche, protostoriche, di età romana e medievale disponiamo, come dall’elenco precedente, numerosi dati ubicativi, pochissimi sono i siti con attestazioni puniche, che comunque testimoniano la frequentazione del territorio in tale epoca. Per il Medioevo, nell’area campione insistevano senz’altro ulteriori insediamenti, al momento denunciati solo dalla toponomastica e non da attestazioni archeologiche. Si è deciso di analizzare gli insediamenti per macro-periodi, in mancanza di dati stratigrafici e di scavo pertinenti ai vari siti.
Non si è potuto, in questa fase dell’indagine, effettuare una esatta classificazione degli insediamenti su base funzionale, come sarebbe stato senz’altro preferibile per evidenziare eventuali gerarchie dei siti ed il tipo di frequentazione degli stessi (cfr. Aston 2002 e Roberts 2003). Difatti, per la maggior parte dei siti considerati, mancano completamente dati in tal senso, sia a causa, come si è detto, dell’assenza di scavi archeologici, sia perché solo la presenza di pochi frammenti ceramici rinvenuti in superficie fa presupporre l’esistenza di molti siti, di cui, con tutta evidenza, risulta impossibile determinare la funzione. Tale carenza di dati è in gran parte dovuta all’estrema erosione del suolo ed alla scarsità di arature, per cui molte informazioni potrebbero esser andate disperse o ancora da scoprire. L’unica eccezione in tal senso può farsi, probabilmente, solo per le fasi dell’età del Bronzo, in quanto per i nuraghi, i famosi monumenti protostorici sardi, da tempo la letteratura scientifica ha proposto un ruolo di controllo del territorio e delle sue risorse economiche, quali i pascoli, le zone arative, i boschi e le vie di transito (cfr. Vanzetti et al. 2015; Cicilloni et al. 2016).
A tal fine sono state simulate delle analisi mediante applicativi GIS: la Least-Cost Path Analysis (per gli aspetti teorici e per le recenti tendenze dell’utilizzo della LCPA in archeologia: Wheatley e Gillings, 2002: 142-143; Conolly e Lake, 2006: 217, 252-255, 262, 294; Herzog, 2014) e la Viewshed Analysis al fine di individuare rapporti di intervisibilità tra monumenti e intorno (per gli aspetti teorici sulla Viewshed Analysis: Wheatley e Gillings, 2002: 179-192; Conolly & Lake, 2006: 225-232).
Questo tipo di analisi ci consentono di valutare, all’interno del territorio analizzato, i percorsi di più facile percorrenza, a partire dalle pendenze del terreno, tra un punto di partenza ed una destinazione prefissata ed eventuali rapporti visivi reciproci o meno tra monumenti e settori, presumibilmente, 'nevralgici' del paesaggio circostante.
RISULTATI
Le indagini pluriennali condotte esaustivamente nel territorio hanno messo in evidenza la presenza di oltre un centinaio di insediamenti pertinenti alle varie epoche, alcuni dei quali relativi ad un unico sito pluristratificato. In particolare si sono evidenziati 22 insediamenti di epoca preistorica (costituiti da aree di dispersione di ossidiana e ceramica, da circoli megalitici e da un menhir: IV-III millennio BC), 51 di epoca protostorica (nuraghi, villaggi, tombe di giganti, pozzi e fonti sacre: II-I millennio BC), 4 di età punica (rinvenimenti sporadici: IV-III sec. a.C.), 24 di età romana (abitati e rinvenimenti sporadici: periodo repubblicano e imperiale) ed 8 relativi al Medioevo (ville, un castello e materiali sporadici: età bizantina, giudicale, pisana e catalano-aragonese) (Fig. 4).
Aspetti insediativi
Il primo livello di analisi ha cercato di mettere in relazione i singoli insediamenti con le forme del paesaggio presenti nel territorio in esame. Dalle figg. 5 e 6 si evince come in epoca preistorica l’ambiente di preferenza sia l’altopiano (45% del totale dei siti), le zone di pendio (23%) ed il pianoro (14%); soprattutto i siti con chiara connotazione cultuale, come i circoli megalitici, sembrano prediligere l’utilizzo di luoghi elevati, che si proiettano verso orizzonti amplissimi, come avviene
Fig. 4 – Carte di distribuzione dei siti esaminati: A - Preistoria, B - Protostoria, C - Punico e Romano, D – Medievale (elab. M. Cabras).
anche, sempre nel Gerrei, per lo straordinario sito ipogeico-megalitico di Pranu Mutteddu a Goni, ubicato su un vasto pianoro situato a circa 500 metri s.l.m., (Atzeni e Cocco 1989; Cicilloni 2011). In età protostorica si ha una netta prevalenza per le sommità di rilievo (14%), per gli orli degli altopiani (14%) e sui pendii (16%), luoghi alti legati ad una evidente esigenza strategica di controllo territoriale; è attestata altresì una buona percentuale di insediamenti su fondo di vallecola (16%), forse per il controllo diretto delle vie di comunicazione. In epoca romana e medievale si verifica un’apparente rarefazione degli insediamenti, che però in parte continuano a perpetuare la precedente modalità insediativa, spesso in siti precedentemente occupati dalle popolazioni nuragiche. In età romana prevalgono i siti su pendio (38%), su altopiano (13%) e limiti di altopiano (13%), su sommità di rilievi (12%). In epoca medievale si hanno soprattutto siti su pendio (50%), ma anche su sommità di rilievi (13%) e pianori (13%).
Viene meno però la volontà di quel controllo totalizzante del territorio proprio dell’epoca protostorica, e ciò sembra testimoniato dalla prevalenza di insediamenti, in questi due ultimi periodi, ubicati su versanti, a mezza altezza o sulle pendici di rilievi. Le analisi delle fasce altimetriche (Tab. 1) in cui ricadono gli insediamenti mostra come le popolazioni preistoriche preferissero le quote più elevate, mentre nelle altre tre epoche si ha una sostanziale omogeneità distributiva nelle scelte ubicative rispetto all’altitudine, in un paesaggio che presenta già per sé stesso un’altimetria media piuttosto elevata.
Fig. 5 – Relazione tra insediamenti e forme del territorio nelle diverse epoche. Legenda: 1) fondo di vallecola; 2) sommità collinare; 3) sommità di rilievo; 4) altopiano; 5) limite di altopiano; 6) crinale; 7) pendio; 8) pianoro; 9) limite di pianoro; 10) rilievo su valico montano; 11) valico; 12) terrazzo su fiume. In blu: Fase Preistorica; in arancione: Fase Protostorica; in grigio: Periodo Romano; in verde: Medio Evo (elab. R. Cicilloni).
Tab. 1 - Relazione tra insediamenti ed altitudine (elab. R. Cicilloni, M. Cabras).
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Prehistory
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Proto-history
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Roman Age
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Middle Ages
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Altitude
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Sites
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Sites
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Percentage
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Sites
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Percentage
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Sites
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Percentage
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> 801 m a.s.l.
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9%
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0
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0
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0
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701-800 m a.s.l.
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3
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14%
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3
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6%
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2
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0
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601-700 m a.s.l.
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8
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36%
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9
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18%
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2
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8%
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1
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12,5%
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501-600 m a.s.l.
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7
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32%
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13
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25%
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8
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34%
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4
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50%
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401-500 m a.s.l.
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1
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4,5%
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11
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21%
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8
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33%
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2
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25%
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301-400 m a.s.l.
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1
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4,5%
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22%
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17%
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0
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201-300 m a.s.l.
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0
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2
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4%
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1
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12,5%
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101-200 m a.s.l.
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0
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4%
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0
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/
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0
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Average Altitude
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625 m a.s.l.
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486 m a.s.l.
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479 m a.s.l.
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454 m a.s.l.
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Prehistory
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Proto-history
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Roman Age
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Middle Ages
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Altitude
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Sites
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Sites
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601-700 m a.s.l.
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501-600 m a.s.l.
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34%
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401-500 m a.s.l.
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4,5%
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21%
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301-400 m a.s.l.
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201-300 m a.s.l.
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4%
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479 m a.s.l.
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454 m a.s.l.
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Fig. 6 – Forme del paesaggio utilizzate per l’insediamento nelle varie epoche. Legenda: 1) fondo di vallecola; 2) sommità collinare; 3) sommità di rilievo; 4) altopiano; 5) limite di altopiano; 6) crinale; 7) pendio; 8) pianoro; 9) limite di pianoro; 10) rilievo su valico montano; 11) valico; 12) terrazzo su fiume. In blu: Età Preistorica; in arancione: Età Protostorica; in grigio: Periodo Romano; in verde: Medio Evo (elab. R. Cicilloni).
Analisi GIS
Obiettivo di queste elaborazioni è quello di predisporre delle mappe di densità dell’insediamento relative alle fasi preistorica, protostorica, punico-romana e medievale all’interno dell’area campione mediante strumenti GIS. Nella fig. 7 le diverse tonalità, dal più chiaro al più intenso, indicano aree più densamente fitte di emergenze rilevate per ogni fase. Appare chiaro da subito, dal punto di vista visivo, come ci sia un’importante differenza nella scelta degli areali di popolamento soprattutto per l’epoca preistorica, areali che differiscono in misura notevole rispetto alle zone insediative delle epoche successive.
Durante le ricognizioni spesso si è potuta appuntare la volontà strategica nell’ubicazione di alcuni monumenti al confine tra differenti regioni storiche, come già ipotizzato in altre sedi per questo settore in relazione soprattutto alle curatorìe medievali (Cicilloni e Forci 2012). Si è provato così a verificare, mediante l’analisi dei percorsi a minor costo di percorrenza (Least-Cost Path Analysis), se questi areali si configurassero come zone di passaggio in base alle simulazioni effettuate dal software GIS. Questo tipo di analisi ha permesso di tracciare il percorso più agevole dal punto di vista del costo energetico in un’area che si configura, come sottolineano le analisi, un punto di passaggio naturale obbligato tra le regioni del Gerrei, del Siurgus e della Trexenta (Figg. 8A e 8B). Il percorso ha collegato l’area di Nais in territorio di Silius con l’area del nuraghe Ega, in territorio di Siurgus Donigala e con il nuraghe San Sebastiano in territorio di San Basilio.
Fig. 7 – Mappe della densità di insediamento per ogni epoca: A - Preistoria, B - Protostoria, C - Punico e Romano, D – Medievale (elab. M. Cabras).
Il controllo nevralgico su determinati punti di passaggio si è potuto constatare sia in prossimità del Valico di Perdusai che nei pressi della torre capanna di Perda Sisinnia, nei pressi di Funtana Romana, al confine tra Goni, S. Basilio, Siurgus Donigala e Silius. Da notare come spesso le cosiddette 'torri-capanna' nuragiche, intese come strutture capannicole che per ubicazione e funzionalità ricordano le vere e proprie torri nuragiche, senza averne però tutte le caratteristiche strutturali (volta a tholos, scale per piani superiori, ballatoi, ecc.), siano ubicate in posizione strategica, come avviene, ad esempio nel caso della struttura di Sa Corona di Villagreca, ubicato sul ciglio di una alta sommità rocciosa (Atzeni 1966) o della torre capanna - detta 'nuraghe' - Taro di Gesturi, sull’orlo di un altopiano basaltico (Lilliu 1985). I percorsi ricalcano molte porzioni di viabilità odierna, quando invece i tracciati non collimano, differiscono per pochi metri o per poche decine di metri, oppure si intersecano con altri tipi di viabilità. Raramente il tracciato non ha alcuna attinenza o vicinanza con tracciati stradali odierni di varia entità.
Si è poi proceduto con un’altra verifica dei percorsi presso la Valle del Rio Annallai. Questa risulta difficilmente percorribile, se non per tratti ridotti. L’attraversamento in senso E-W di questo territorio, dall’area di Santa Maria Nuraxi verso Cuccuru ‘e Turri sembrerebbe preferibile attraverso gli altopiani paleozoici, e non, almeno in maniera agevole, dalla profonda Valle del Rio Annallai. Per quanto riguarda l’area degli altopiani paleozoici, ci troviamo in una zona frequentata già da tempi preistorici, scarsamente popolata durante l’epoca protostorica e fino al medioevo, se non in maniera sporadica e con intenti di solo controllo, senza grande interesse dal punto di vista monumentale, come risulta dalla costruzione di edifici di carattere meno articolato come le torri capanna (Cuccuru ‘e Turri, Nais e Perda Sisinnia).
Fig. 8 - A: Risultati delle analisi GIS: controllo visivo (in verde chiaro) dalla 'Torre-capanna' di Cuccuru ‘e Turri verso il valico di Perdusai e verso i percorsi a minimo costo di percorrenza che si dirigono dal Gerrei verso la Trexenta, ricalcando talvolta percorsi odierni; B: Insistenza della 'Torre-capanna' di Perda Sisinnia (indicata dal cerchietto rosso) sull’odierno trivio che collega il Gerrei con la Trexenta ed il Siurgus (elab. M. Cabras).
Su questo frangente non risulta ancora chiaro il ruolo del nuraghe Perdu Cucca, ubicato su un piccolo pianoro che si erge nel pendio che degrada sul Rio Annallai. Il nuraghe potrebbe essere però ubicato in quest’area in prossimità di un guado, oltre che in relazione alle esigenze di un più diretto controllo della valle fluviale. L’ipotesi del guado potrebbe essere avallata dalla presenza di dispersione ceramica di epoca storica sulla sponda opposta della valle.
Nuovi spunti vengono dai calcoli della LCPA nell’area degli altopiani paleozoici. Diversi monumenti di età preistorica come i circoli, i menhir e i cromlech, risultano ubicati nelle strette vicinanze delle direttrici tracciate dalla LCPA che attraversa l’area dai punti di accesso dalla Valle del Flumendosa (Santa Maria Nuraxi) verso la Trexenta e il Siurgus. Questo aspetto è però in corso di approfondimento, anche in occasione di altri lavori in differenti ambiti geografici (Cicilloni e Cabras CDS).
CONCLUSIONI
In epoca preistorica, prima dell’avvento del nuraghe, la presenza dell’uomo sembra concentrarsi sui rilievi e gli altopiani paleozoici del settore sud-occidentale del territorio in esame, dove si individuano varie aree con dispersione di ossidiana anche in associazione a muraglie ciclopiche, circoli funerari e cultuali situati sul bordo di formazioni orografiche in corrispondenza di suggestive località panoramiche. Tra tutte si può citare quella di Piscina Caboni/S’Incorradroxiu, ove un grande cromlech con inserzione lungo il perimetro di menhirs (Fig. 2) è in perfetta comunicazione visiva con la citata necropoli-santuario di Pranu Mutteddu di Goni. Segni più monumentali riguardano l’età nuragica che ha lasciato testimonianza di sé nei numerosi nuraghi che si dispongono, in posizione predominante, attorno all’ampia area centrale 'degli altopiani paleozoici', verosimilmente utilizzata per il pascolo, in apparenza priva di monumenti dell’età del Bronzo.
Questi nuraghi occupano la cima di alture isolate o il bordo di altopiani, pianori e dorsali collinari a dominio di valli fluviali o zone di facile accesso (passi e valichi naturali), affrontandosi di sovente dai versanti opposti di una stessa valle. La concentrazione di emergenze sia a carattere civile che funerario denota in taluni casi veri e propri insediamenti con carattere di stabilità miranti al pieno sfruttamento di tutte le risorse economiche, quali i pascoli, le zone arative e quelle boschive, come avviene, per l’età del Bronzo, in molte altre aree della Sardegna, ad esempio la Marmilla (Cicilloni et al. 2015b).
La pluriennale ricerca, che in assenza di scavi stratigrafici non può documentare eventuali sfasamenti cronologici nell’occupazione delle diverse aree, mostra come tutti i nuraghi assolvano alla medesima funzione di controllo sulle principali vie di comunicazione naturale con particolari concentrazioni nei punti di maggiore criticità: lungo il percorso e allo sbocco delle vie di collegamento tra la Trexenta e il Gerrei; in corrispondenza dell’attuale centro abitato di Silius, punto di transito obbligato nelle comunicazioni tra Trexenta e Sarrabus; a ridosso della valle del Flumendosa. Già padre Orrù, negli anni ’50 del Novecento (Orrù 1955), aveva richiamato l’attenzione sul sistema di torri-vedetta costruite per sorvegliare gli accessi naturali che risalivano dal Basso Flumendosa per poi ridiscendere in direzione del Campidano e della Trexenta (Forci 2008).
In epoca romana si assiste alla ripresa della frequentazione nella maggior parte dei siti di epoca protostorica, con la presenza di microinsediamenti rurali spesso soltanto temporanei, legati ad un’economia prevalentemente di carattere pastorale. Solo alcuni di questi stanziamenti nel Medioevo si evolveranno in insediamenti stabili, caratterizzati giuridicamente come villae. Se non è un caso, è interessante notare come tre dei quattro microsistemi insediativi individuati nel territorio per l’epoca protostorica (Cicilloni e Forci 2012) coincidano con l’areale di fondazione di una villa in età medievale (Sassai, Nuraxi e la stessa Silius).
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