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Conference proceedings - “Incontri di Archeologia - Studenti Sapienza", Atti delle Giornate del 27 aprile - 12 e 24 maggio 2018
 
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Italian 
 
ABSTRACT 

Apollo Grannus, a healing and sun god usually worshipped at healing sanctuaries near sacred springs since the first imperial age, was created as the religious assimilation of a celtic deity, Grannus, and a greco-roman god, Apollo Medicus, on the ground of common qualities and characteristics. Apollo Grannus is therefore a perfect example of the so-called interpretatio romana, i.e. the interpretation of the celtic pantheon from a roman point of view. In roman times the religious syncretism didn’t affect merely arts and religious iconography, but rather it is also clearly distinguishable in temple architecture and archaeological remains, as proved by the construction of gallo-roman temples.  

The worship of Apollo Grannus was uncommonly widespread, as compared to other celtic-roman gods, which were often connected to just one place or ethnic group. On the contrary, the presence of Apollo Grannus is witnessed by about fifty inscriptions and several religious buildings discovered in many roman provinces, from Britannia to Greece; nevertheless, the provinces where Apollo Grannus is better documented are Germania and Raetia, while a significant part of his worshippers came from the military class: undoubtedly, soldiers and governors played an essential role in spreading Apollo Grannus’ worship and rituals across the Roman Empire.

 

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INTRODUZIONE

La documentazione archeologica ed epigrafica testimonia l’esistenza in età imperiale di una divinità largamente diffusa negli antichi territori celtici governati da Roma, nota con l’appellativo di Apollo Grannus, una divinità solare preposta alla guarigione, originaria delle province nord-occidentali dell’impero e venerata presso santuari delle acque o sorgenti sacre. Si tratta del sincretismo religioso tra una divinità celtica, Grannus, ed una greco-romana, l’Apollo Medico. Tale assimilazione fu resa possibile grazie alla presenza di elementi comuni tra le due divinità, in primis il loro carattere curativo, e di conseguenza anche elementi come la luce solare e l’acqua che sono necessari alla vita ed alla guarigione. Apollo Grannus è solitamente rappresentato secondo l’iconografia greco-romana del Citaredo, talvolta anche accompagnato da un grifone (Fig. 1-2).

 

Fig. 1 - Statua del piccolo Apollo Citaredo di Hochscheid (foto autore presso Landesmuseum Trier).

 

Fig. 2 - Altare da Aquisgrana con rilievo raffigurante Apollo Grannus come Citaredo (© Bonn Rhein. Landesmus.).

 

Già nell’elenco di divinità celtiche del De Bello Gallico (VI, 17.2), Cesare sosteneva l’esistenza di una divinità preposta alla cura delle malattie presso i Galli. Cesare la chiama “Apollo”, secondo un’ottica romana - la cosiddetta interpretatio romana - ma chiaramente questo non era il nome, o meglio i nomi, con cui il dio guaritore era conosciuto dai popoli celtici. È necessario parlare di “nomi” di Apollo, al plurale, poiché all’interno dell’estremamente numeroso pantheon celtico vi erano molteplici divinità epicoriche - dunque legate ad una località in particolare - che possedevano attributi simili a quelli dell’Apollo greco-romano e che dunque con esso vennero tutte ugualmente assimilate dai Romani. Grannus fu tuttavia l’epiclesi più diffusa e longeva per quanto riguarda la venerazione di Apollo nelle province nord-occidentali, indizio di un sincretismo religioso forte, in grado di affermarsi ampiamente superando anche i confini locali.

È importante sottolineare come il sincretismo religioso permise ai Romani di facilitare e velocizzare la romanizzazione dei territori conquistati, aumentandone così il livello di governabilità. Con lungimiranza, infatti, Roma scelse in materia religiosa di mostrare tolleranza e rispetto nei confronti delle divinità estranee al proprio pantheon, a patto che ciò non costituisse una minaccia per la stabilità e la sicurezza dello Stato. In particolare, l’iconografia religiosa fu uno strumento fondamentale per l’interpretatio: con l’aiuto delle immagini sacre qualsiasi cittadino romano avrebbe potuto allontanarsi almeno in parte dalla religione dei propri antenati, per abbracciare divinità “barbariche”, ma che fondamentalmente veicolavano gli stessi messaggi cosmologici legati ai cicli di vita e morte. 

Grazie alla documentazione archeologica sono dunque noti numerosi epiteti di Apolli celtici, oltre a Grannus: Amarcolitanus, Anextlomarus, Atepomarus, Bassoledulitanus, Cobledulitavos, Belenus, Borvo/Bormo, Cunomaglus, Mogounos, Moritasgus, Siannus, Toutiorix, Vindonnus, Virotutis ed alcuni altri. Il meglio testimoniato epigraficamente è però proprio Grannus, seguito da Apollo Borvo e Apollo Belenus. Apollo Grannus è anche la divinità celtica apollinea che ha incontrato la maggiore diffusione (Fig. 3): le testimonianze della venerazione nei suoi confronti provengono infatti da numerose province dell'Impero, dall’ Hispania fino all’Asia Minore, mentre la maggior parte degli altri Apollo celtici sono noti da un solo luogo. Le province in cui il culto di Apollo Grannus si radicò meglio furono le due Germanie, la Gallia Belgica e la Raetia; inoltre la grande fortuna avuta da Apollo Grannus non è testimoniata solo dalla sua vasta diffusione nell’Europa centro-occidentale, dunque un dato spaziale, bensì anche da un dato temporale, ovvero la persistenza del culto nella memoria collettiva anche dopo la capitolazione dei culti pagani davanti al cristianesimo: al V sec. appartiene infatti un poema cristiano di Claudius Marius Victor che menziona il culto di Apollo Grannus come culto illusorio ma popolare presso genti galliche (Alethia III, 204 e s.): a quel tempo la memoria di Grannus non era dunque ancora del tutto scomparsa. 

 

Fig. 3 - Diffusione dei ritrovamenti epigrafici finora rinvenuti riguardanti Apollo Grannus.

 

I SANTUARI

Non sono molti gli edifici sacri attribuiti ad Apollo Grannus sufficientemente indagati, ma tra questi è possibile isolare tre contesti particolarmente significativi: il santuario cittadino di Faimingen, antica Phoebiana, in Raetia; il santuario cittadino di Neuenstadt am Kocher, antica Civitas Aurelia G(…), in Germania Superior; il santuario rurale presso l’odierna Hochscheid, in Gallia Belgica. Mentre il primo contesto verrà trattato in questa sede in modo più esteso, i santuari di Neuenstadt e Hochscheid saranno invece presi in considerazione come puntuali casi di studio per alcuni tratti peculiari di Apollo Grannus. Il periodo in cui il culto di questa divinità sembra avere avuto più seguito ed anche maggiori finanziamenti per la monumentalizzazione delle sue aree cultuali è certamente il II secolo d.C. fino gli inizi del III, in corrispondenza dei periodi di maggiore valorizzazione artistica, come nell’età antonina e severiana, quando si investì anche nell’abbellimento delle città provinciali legate a questo dio e nella riorganizzazione dei territori conquistati.

Al confine tra Baviera e Baden-Württemberg, presso la piccola cittadina tedesca di Faimingen, è localizzato dunque uno dei contesti sacri più importanti per quanto riguarda il culto di Apollo Grannus. 

Ci troviamo lungo l’asse stradale che conduceva in Germania Superior, in una posizione sopraelevata nei pressi del fiume Brenz, affluente del Danubio (Fig. 4). L’attuale cittadina di Faimingen sorge sull’antico insediamento romano di Phoebiana, nato come castrum in età flavia al fine di fornire un appoggio stabile alle truppe romane impegnate nella regione, assicurando l’attraversamento della confluenza tra Brenz e Danubio. Phoebiana si trovava tra la regione renana e danubiana, in un punto focale della viabilità antica, e questo fattore risultò determinante per la nascita di insediamenti romani e per lo sviluppo della regione in età imperiale (Eingartner 1985: 257). Nella zona in cui sorse l’insediamento sono emerse inoltre tracce di frequentazione preromana.

 

Fig. 4 - Carta archeologica dell’insediamento romano di Phoebiana (Faimingen), in posizione quasi centrale il santuario (da Eingartner 1985).

 

Le campagne domizianee portarono all’annessione degli Agri Decumates, spostando verso nord e verso est nelle alte valli di Danubio e Reno il limes. Nel 120 d.C., data ormai la lontananza dal teatro di guerra, il castrum di Faimingen venne dismesso definitivamente ed al suo posto iniziò la crescita dell’insediamento civile; questo semplice vicus si trasformò poi in una città economicamente ben sviluppata ed in grado di attirare coloni, commercianti e pellegrini. Il momento di maggiore fioritura dell’insediamento e di maggiore monumentalizzazione del tempio di Apollo Grannus ebbe luogo tra II-III sec. d.C. In particolare è in età antonina che, nonostante le dimensioni contenute del santuario, esso rivestì probabilmente il ruolo di santuario salutare interregionale. È interessante inoltre notare come il toponimo di questo sito, Phoebiana, si ricolleghi al culto ivi praticato: Phoebus (Phoibos in greco) era un epiteto legato proprio al dio Apollo, in quanto luminoso dio solare.

Le ricerche archeologiche hanno evidenziato l’esistenza di diverse fasi costruttive per quanto riguarda il tempio in pietra (Fig. 5), precedute da una fase iniziale (tra 120 e 150/160 d.C.) in cui nel medesimo luogo doveva sorgere un fanum con struttura portante in legno, posto all’interno di un recinto e nei cui pressi sono state rinvenute alcune deposizioni di lucerne in ceramica, ossa animali (Sommer 2010: 4-5) ed importanti concentrazioni di astragali perforati (Eingartner 1985: 265; Gschlöß 2006: 35). Al più tardi intorno al 160 d.C. il fanum venne demolito e si iniziarono i lavori di costruzione del tempio in pietra, la cui pianta doveva essere inizialmente quella di un tipico tempio gallo-romano a pianta centrale, dunque con una cella - in questo caso quadrata - ed un ambulacro che la circondava. I lavori non vennero però completati, la prima fase di costruzione si interruppe e il disegno iniziale fu scartato a favore di un nuovo tempio, più esteso e di stile tipicamente italico. È a questa seconda fase (fine II – inizi III sec.) che corrispondono i resti tuttora visibili del tempio, anche se fortemente restaurati negli anni ’70 del secolo scorso. 

 

Fig. 5 - A destra: planimetria del santuario di Faimingen nelle sue diverse fasi edilizie. Grigio = fase 1a; azzurro = fase 1b; rosso = fase 2; ocra = fase 3. A sinistra: planimetria del santuario e dei portici nel periodo di maggiore sviluppo (foto autore presso Santuario di Faimingen).

 

Dal punto di vista architettonico, il nuovo progetto monumentale ha dato maggiore enfasi all’elemento romano (Fig. 6-8): il tempio non è più a pianta centrale, è invece prostilo tetrastilo, su alto podio accessibile frontalmente e suddiviso in cella e pronaos; il complesso ha inoltre un assetto forense, con il tempio al centro di una corte porticata costituita da colonnati tuscanici, che circondano il tempio su tre lati e non anche sul lato posteriore, come accade invece nei fana celtici. Sono stati anche rinvenuti alcuni resti di intonaco colorato appartenente ai portici (Czysz et al. 1995: 443). Questo complesso era inoltre anch’esso sopraelevato rispetto al piano di calpestio circostante e delimitato su tre lati (sempre a est, sud e ovest) da un’ulteriore struttura, una galleria che si trasforma in portico unicamente nel versante orientale grazie ad un colonnato aperto verso l’esterno del complesso. L’ingresso principale al santuario era posto al centro della facciata esterna della galleria sul lato meridionale e consisteva in una scalinata collocata in asse con la scalinata d’accesso al tempio.

 

Fig. 6 a-b - Santuario di Apollo Grannus a Faimingen (foto autore).

 

Fig. 7 - Ricostruzione tridimensionale del complesso sacro di Faimingen (foto autore presso Santuario di Faimingen).

 

Fig. 8 - Santuario di Apollo Grannus a Faimingen, canalette (foto autore).

 

Non si conoscono le cause che spinsero l’amministrazione locale a tale significativo cambio di progetto, né se nella correzione del disegno siano implicate direttive imperiali o la volontà di un evergete locale. Certamente i finanziamenti furono consistenti, dato il considerevole ampliamento del progetto iniziale. Inizialmente la monumentalizzazione di questa fase fu associata dagli studiosi alla visita di Caracalla al santuario, avvenuta nel 213 d.C. e di cui abbiamo notizia da Cassio Dione e, indirettamente, da alcuni miliari. Tuttavia l’ipotesi che l’ampliamento del tempio di I fase sia da ascrivere direttamente alla volontà di Caracalla non è sostenuta da sufficienti prove, e soprattutto i lavori di costruzione del tempio di II fase sembrano essere iniziati ben prima dell’arrivo dell’Imperatore. 

È stato possibile identificare in modo certo il nome dell’insediamento, Phoebiana, grazie alla scoperta in una chiesa della vicina cittadina di Gundelfingen di due pietre miliari che testimoniavano i lavori edilizi svolti da Caracalla nel 212 d.C. e nominano per la prima volta Phoebiana (Fig. 9) (CIL, XVII 04, 60-61-62). La campagna militare contro gli Alemanni era stata accuratamente programmata, pertanto un anno prima degli scontri Caracalla si preoccupò di far costruire le strade che le sue legioni avrebbero poi utilizzato per recarsi sul limes.  Se l’ampliamento della rete stradale fu dunque programmata, non sembra esserlo stato l’effettiva visita dell’Imperatore: da Cassio Dione (Historia Romana LXXVIII, 15) sappiamo infatti che Caracalla, in occasione del suo intervento contro gli Alemanni nel 213 d.C., soffrì in modo grave, sia fisicamente che mentalmente, di una grave quanto oscura malattia, per la quale ogni tentativo di trovare una cura si rivelò vano e che gli causava orribili incubi e un ottenebramento della mente tale che sembrava indicare l’insorgere della pazzia. L’imperatore era particolarmente devoto ad Apollo e Cassio Dione ci racconta che egli trascorse una notte, senza successo, in un santuario di Apollo Grannus, chiedendo l’aiuto del dio per poter tornare in forze. Questa è una testimonianza di estrema importanza poiché mostra un imperatore romano venerare una divinità di origini celtiche. Sebbene non venga specificato dove si trovasse il santuario visitato dall’imperatore, è assai verosimile che il luogo in questione fosse effettivamente il tempio di Faimingen, grazie alla testimonianza dei miliari di Gundelfingen che menzionano l’imperatore, e anche poiché il santuario di Faimingen è quello più vicino alla zona in cui Caracalla era impegnato contro gli Alemanni.

 

Fig. 9 - Miliari in calcare da Gundelfingen (212 d.C.): Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) Se/verus Antoninus / Pius Aug(ustus) Britanni/cus max(imus) Parthicus / max(imus) pont(i)f(ex) max(imus) trib(unicia) p(otestate) X[V] / imp(erator) III co(n)s(ul) design(natus) IIII / vias et pontes dedit / a Phoebianis m(ilia) [p(assuum)] / V.

 

LE ISCRIZIONI SACRE E LE QUALITÀ DI APOLLO GRANNUS

Sono in totale una cinquantina le dediche sacre ad Apollo Grannus finora note, e tramite le quali è stato possibile ricostruire in parte le caratteristiche di questa divinità ed i rituali ad essa associati.

In un’iscrizione posta su un architrave frammentario proveniente da Faimingen (CIL, III 11903) (Fig. 10) il nome di Apollo Grannus è stato integrato poiché è presente nell’iscrizione il nome della dea Sirona, sua paredra. Sirona era una divinità celtica legata alla fertilità, talvolta venerata singolarmente nelle dediche ma solitamente associata ad Apollo Grannus e, come comunemente accadde alle divinità celtiche femminili, ella mantenne il proprio nome anche in età romana. Sirona non è però l’unica divinità che compare al fianco di Apollo Grannus, il quale è talvolta venerato insieme ad altre divinità salutari o legate sia alla luce solare che all’acqua: egli compare ad esempio con le Ninfe, Igea, Sol Invictus, Serapide, Iside etc. (CIL, III 5861; CIL, III 5873; CIL, XIII 5940; CIL, XIII 8007; AE 1957, 114; AE 1968, 230; AE 1992, 1304; AE 2009, 1108) (Fig. 11-12).

 

Fig. 10 - Dedica votiva ad Apollo Grannus e Sirona su un architrave frammentario in calcare da Faimingen: [In h(onorem)] d(omus) [d(ivinae)] / [deo sancto Apollini Granno et de]ae sanctae Si[ronae] / [---] item valvas O(?)[---] / [--- P]etr(onius) Victoriu[s] / [omnibus honoribus in civitat]e sua functu[s] / t(estamento) [f(ieri) i(ussit)].

 

Fig. 11 - Altare in calcare dedicato ad Apollo Grannus ed alle Ninfe, da Mengen (Raetia): Apollini / Granno / et Nymph/is C(aius) Vidius / Iulius pro / se et suis / v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus) m(erito).

 

Fig. 12 - Dedica votiva ad Apollo Grannus e Igea su un architrave in calcare, da Faimingen: Apollini Granno et Sanctae Hygiae [---] / [M]at(ri) deum ipsorum pro salute Luci[---].

 

Una caratteristica comune alla maggior parte delle dediche ad Apollo Grannus è certamente il loro ritrovamento in aree vicine alla prima linea dei maggiori teatri di guerra in Occidente. Gli stessi santuari di Apollo Grannus sorsero in aree pacificate da poco tempo ed incluse nell’Impero in tempi relativamente recenti. Tra gli stessi dedicanti la classe sociale meglio rappresentata è quella militare (a titolo di esempio: CIL, III 5876; CIL, III 5874) (Fig. 13): proprio grazie all’apporto dei militari, dai semplici legionari ai governatori, il culto di Apollo Grannus poté diffondersi all’interno dell’Impero colmando grandi distanze. 

Da un lato gli abitanti locali di origine celtica, integratisi nella società romana e militando nell’esercito romano, portarono con sé i culti delle proprie terre e le proprie tradizioni, dunque li “esportarono” nelle regioni in cui prestavano servizio; dall’altro lato, sempre grazie al servizio militare, il culto di Apollo Grannus poté essere conosciuto e fatto proprio dai legionari di origine non germanica che militarono lungo il limes renano e quello danubiano. Del resto è logico che ad un dio salutare, preposto alla guarigione ed alla rinascita, fossero affezionati soprattutto coloro che più di tanti altri dovevano confrontarsi per mestiere con le ferite, la malattia e la morte. Questo culto era certamente molto popolare tra i legionari e gli ufficiali di grado inferiore, tuttavia non mancano attestazioni di devozione da parte dei più alti funzionari (Fig. 14). 

 

Fig. 13 - Altare con fori di alloggiamento per una statuetta e dedica votiva ad Apollo Grannus, da Lauingen (Raetia): Apollini / Granno / M(arcus) Ulpius / Secundus / |(centurio) leg(ionis) III Ital(icae) / cum signo / argenteo / v(otum) s(olvit) l(ibens) l(aetus) m(erito).

 

Fig. 14 - Dedica votiva in calcare ad Apollo Grannus, da Lauingen (Raetia): [D]ei Apollinis Granni / [pro salute Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Au]rel(i) [[---]] / [[------]] / [[---]] p(atris) p(atriae) / [--- Dio]nysius leg(atus) Aug(usti) pr(o) p(raetore) / [---] Kal(endas) Iunias.

  

La maggioranza dei dedicanti sono cittadini romani o perfettamente romanizzati, tuttavia spiccano alcuni casi in cui lo status del dedicante doveva essere chiaramente di peregrinus (ad esempio AE 1989, 521). In diversi altri casi inoltre, nonostante l’esibizione di un’onomastica romana, il dedicante si mostra orgoglioso delle proprie origini esibendo e sottolineando la civitas di appartenenza. Nell’assoluta maggioranza dei casi il dedicante è di sesso maschile, tuttavia in cinque casi il dedicante, o uno dei dedicanti, è una donna (CIL, XIII 6272; CIL, XIII 6458; CIL, XIII 8712; AE 1978, 595; AE 1992, 1304).

Tra i più influenti devoti ad Apollo Grannus sono testimoniati anche alcuni imperatori: Caracalla, come già sottolineato, e Costantino, il quale, sulla base dell’interpretazione di un testo latino, il cosiddetto Panegirico di Costantino (VII, 21, 3-4), sembrerebbe abbia visitato in pellegrinaggio nel 309 d.C. un santuario di Apollo Grannus, da alcuni localizzato a Grand (cfr. Billoret 1980 e Dechezleprêtre 2010).

Per trattare inoltre degli elementi che caratterizzavano il culto ed i riti di Apollo Grannus, è necessario cominciare dal ruolo predominante dell’acqua nella sfera rituale apollinea. In quanto dio salutare, i fedeli si rivolgevano ad Apollo Grannus per richiedere una cura, la quale certamente necessitava di rituali di purificazione tramite l’utilizzo di acqua consacrata al dio, non necessariamente termale e dalle proprietà intrinsecamente curative. Spesso le fonti di Apollo Grannus erano acque fresche di sorgente. Il santuario poteva essere posto nelle vicinanze di un fiume, come a Phoebiana, o più facilmente presso una sorgente, come a Hochscheid, dove inoltre possiamo vedere un tempio a pianta tipicamente gallo-romana all’interno di un complesso santuariale rurale (Fig. 15), nel quale erano compresi altri edifici, tra cui sono stati riconosciuti gli hospitalia, un impianto termale e la dimora del responsabile del tempio (Fig. 16). I resti di ceramiche e dell’apparato decorativo, i rinvenimenti numismatici e diverse terracotte votive mostrano l’importanza raggiunta in piena età imperiale dal santuario di Hochscheid, il quale sorse inoltre in una località frequentata già prima dell’arrivo dei Romani. 

 

Fig. 15 - Foto del tempio gallo-romano di Hochscheid (Edificio I) durante gli scavi (da Weisgerber 1975).

 

Fig. 16 - Disegno ricostruttivo del complesso di Hochscheid: in primo piano gli hospitalia, le terme e la dimora del responsabile; sullo sfondo l’edificio sacro (da Weisgerber 1975).

 

Nel tempio di Apollo Grannus potevano essere necessarie anche delle vasche per riti di abluzione, aspersione o immersione: ciò è comprovato dai resti di due vasche a pianta esagonale rinvenuti nel tempio di Apollo Grannus a Neuenstadt am Kocher, un tempio posto inoltre sempre nelle vicinanze di un corso d’acqua (Fig. 17). Probabilmente l’acqua sacra era anche somministrata ai fedeli, come sembra testimoniare il ritrovamento di vasellame potorio in vetro presso la fonte di Hochscheid (Weisgerber 1975: 77-78) o quello di una casseruola dedicata come ex-voto ad Apollo e Sirona ad Augst, in Germania Superior (Fig. 18; Stähelin 1941). 

 

Fig. 17 - Ricostruzione 3D del santuario di Apollo Grannus a Neuenstadt am Kocher, vista frontale (da Kortüm 2014).

 

Fig. 18 - Dedica votiva ad Apollo e Sirona incisa sul manico di una casseruola in bronzo da Augst (Germania Superior): Apollini et Siro/nae Genial[i]s / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).

 

Certamente Apollo è però anche una divinità ambigua, capace di curare così come di scagliare terribili pestilenze, ed anche nella forma sincretistica di Apollo Grannus egli appare sì come una divinità solare, tanto che in un’epigrafe egli compare come Apollo Grannus Phoebus (CIL, XIII 3635), ma anche legato ad elementi ctonii, in primis proprio l’acqua sorgiva, che proviene dal sottosuolo. L’acqua è movimento, cambiamento e rigenerazione, pertanto diventa simbolo di rinascita. Anche Sirona possiede chiari riferimenti al mondo ctonio: tra i suoi attributi appaiono infatti il serpente e le uova schiuse (Fig. 19).

 

Fig. 19 - Immagine sacra in altorilievo di Sirona, da Hochscheid (da Gschlöß 2006).

 

Un altro rituale proposto dagli studiosi per il culto di Apollo Grannus sulle basi di diverse testimonianze, tra cui un’epigrafe proveniente da Grand, in Gallia Belgica (AE 1937, 55) (Fig. 20), la già citata testimonianza di Cassio Dione e forse anche un passo del Panegirico di Costantino, sarebbe l’incubatio: i pellegrini malati che speravano in un miracolo guaritore potevano cioè entrare in un luogo del tempio preposto a dormitorio, dove avrebbero dormito per una notte auspicando che il dio li potesse guarire in sogno (Green 1992: 32). 

 

Fig. 20 - Lastra votiva in marmo dedicata ad Apollo Grannus, da Grand (Gallia Belgica): [Deo Apollini] / [Gr]anno Consi[n]ius / [tri]bunus / somno iussus.

 

Sembrerebbe infine che sia esistita anche una festività sacra in onore di Apollo Grannus, la Decamnoctiacis Granni, attestata purtroppo però da una sola epigrafe della prima età imperiale, proveniente da Limoges in Gallia Aquitania (AE 1989, 521) (Fig. 21): tuttavia ogni particolare delle celebrazioni compiute durante questa festa della durata di dieci notti ci è sconosciuta. È facilmente presumibile che fossero messe in atto una processione sacra, sacrifici, altri rituali che potevano coinvolgere le icone del dio ed ulteriori attività specifiche dei santuari delle acque, come le abluzioni purificatrici da parte dei fedeli. Tuttavia, solo il ritrovamento di ulteriori documenti epigrafici o letterari potrà risolvere questo come molti degli altri quesiti che ancora riguardano la figura di Apollo Grannus.

 

Fig. 21 - Disegno di lastra votiva in arenaria dedicata a Grannus, da Limoges (Gallia Aquitania): Postumus Du[m]/norigis f(ilius) verg(obretus) aqu/am Martiam Decam/noctiacis Granni d(e) s(ua) p(ecunia) d(edit).

 

CONCLUSIONI

Con l’avvento del cristianesimo i culti indigeni, così come la religione greco-romana, divennero culti pagani, persistendo parzialmente in forma di pratiche superstiziose; ciononostante gli antichi luoghi di culto mantennero spesso la loro destinazione d’uso e sulle vestigia dei templi gallo-romani furono impiantati luoghi di culto cristiani. Non fanno eccezione le fonti sacre, che spesso vennero nuovamente dedicate a santi e martiri cristiani. Tuttavia, nonostante la condanna della Chiesa, le credenze che indicano alcune acque come miracolose ed in grado di guarire gli ammalati sono sopravvissute nel folklore locale fino ai giorni nostri, tanto che la religione cristiana ha deciso da tempo di far proprie ed ufficializzare tali pratiche: il fenomeno di pellegrinaggio presso alcune fonti ritenute dispensatrici di miracoli e di visioni hanno da tempo molta fama, nonostante in età tardo-antica le stesse usanze fossero tacciate di superstizione. La stessa “acqua santa” cristiana e celebrazioni come il battesimo rievocano le proprietà divine attribuite in tutto il mondo antico all’acqua. I casi registrati di utilizzo a fine curativo delle antiche sorgenti romane si spingono fino al XX secolo, quando un paio di guarigioni miracolose ed inspiegabili presso le sorgenti della Senna avevano fatto pensare che quelle acque potessero essere leggermente radioattive (Thévenot 1968: 214).

Il sincretismo religioso celtico-romano permise alle élite locali, anche dopo l’occupazione romana, di mantenere parte del potere e dell’autorità sui propri territori; basti pensare che solo gli esponenti delle classi sociali più elevate potevano accedere ad incarichi sacerdotali. Le élite giocarono un ruolo di primo piano nel processo di romanizzazione delle province, anche per quanto riguarda l’assimilazione religiosa. Le aristocrazie locali infatti parteciparono attivamente ai culti sincretistici stabilendo quali fossero di carattere pubblico e quali di carattere privato, e nel ruolo di magistrati potevano fissare il calendario religioso della comunità locale. Spesso l’aristocrazia gallica capì che appoggiare il processo di romanizzazione fino ad ostentare uno stile di vita e costumi romani era nel proprio interesse ed il concetto di romanitas - come del resto accadde ad ogni nuovo ampliamento territoriale dell’Impero - si fece lentamente più sfumato: le élites locali furono infatti in grado di adottare ed adattare i modelli romani a seconda delle loro necessità, delle loro preferenze e di quello che percepivano come “romano” (Sommer 2010: 7-8).

Bisogna tuttavia ammettere che non vi erano autorità politiche che vigilassero sul processo sincretistico: non esiste prova dell’esistenza di testi sacri o di una teologia sofisticata sia per quanto riguarda Apollo Grannus che per altre divinità celtico-romane (Woolf 2003: 141 e s.). Un grande interrogativo dunque riguarda le ragioni che hanno permesso al sistema ideologico-religioso romano ed ai singoli culti provinciali, nonostante fossero certamente già al loro interno plurimi e compositi, di non modificarsi casualmente fino a giungere ad un’eccessiva frammentazione.

Sicuramente l’iconografia ha avuto un ruolo importante nel preservare l’integrità di alcuni culti gallo-romani e romano-germanici. L’iconografia come veicolo identitario permetteva ai fedeli di riconoscere la divinità venerata e di distinguerla dalle altre. La presenza mandatoria nell’iconografia sacra di alcuni attributi, di un certo abbigliamento e una certa acconciatura, anche di una precisa posa, affinché una divinità potesse essere identificata come tale, ha consentito di non smarrire i tratti principali di ogni culto. Grazie all’iconografia è anche possibile individuare facilmente le varianti regionali di un culto, tramite la variabilità di alcuni elementi che tuttavia non pregiudicano il riconoscimento della divinità ritratta.

All’osservatore moderno certamente è di grande aiuto l’epigrafia, quando disponibile, senza la quale sarebbe quasi impossibile distinguere ad esempio un rilievo raffigurante Apollo Grannus da uno dedicato ad Apollo Belenus; molto probabilmente però possiamo ipotizzare, senza scadere in eccessive e banali schematizzazioni dell’iconografia religiosa celtico-romana, che il pellegrino di età romano-imperiale fosse in grado di distinguere e riconoscere con maggiore facilità rispetto a noi le divinità rappresentate, in particolare la variante locale di un dio, quella della propria civitas di appartenenza, da quella di altre tribù. Alla luce dei nostri limiti conoscitivi, in quanto osservatori moderni in possesso di informazioni frammentarie sul mondo antico, solo progredendo nelle ricerche e nel dialogo interdisciplinare tra i diversi volti dell’archeologia e delle vicine discipline storiche e scientifiche possiamo auspicare di rispondere in un futuro prossimo alle domande che ancora contraddistinguono figure come quella di Apollo Grannus. 

 

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